Cari amici,
l'ineffabile redattore che è anche avvocato svegliandosi in notti di tempesta ci regala questa sua digressione basandosi su un articolo pubblicato a pagina 13 del Resto del Carlino di domenica 27 giugno 2010 (eh sì l'altro ieri). Che per ragioni di spazio e di diritto di autore riportiamo in commento.
Chiaramente, voi conoscete la prolissità del redattore, pertanto questa è solo la prima parte della sua digressione... Attendiamo buone nuove con ansia...
Sperando che non si riaddormenti!
La Mongolfiera
Caro Professore, se la Vita è un diritto, il Diritto non è solo logica. (_1)
chi tenta, come al solito timidamente di rispondere, è un suo ex allievo del corso di Diritto Civile all'Università di Bologna (a.a. 2000/2001). Noto con piacere, che gli anni che passano, non hanno minimamente ossidato la sua “proverbiale” capacità dialettica di giudizio, che tanto ho ammirato nelle sue potenti lezioni universitarie e, con il suo trafiletto pubblicato sul Resto del Carlino di domenica 27 giugno, ho potuto godere di nuovo delle sue sottili e logicamente solide argomentazioni, tutte volte a ricercare l'universalità del sistema giuridico e contro ogni interferenza ideologico-politica nell'applicazione delle norme. Il diritto (e il diritto civile), è questo che ho supremamente imparato da lei con le sue pioneristiche pubblicazioni sui diritti dei consumatori, è un sistema estremamente logico, nel quale la norma può essere piegata ad abbracciare anche manifestazioni distanti della realtà, in modo che si crei un unico abbraccio logico-giuridico capace di spiegare la multiforme realtà della vita umana. Funzionale a questo insegnamento è la battaglia che lei affrontava in aula e che oggi noto continua ad affrontare dalle colonne dei quotidiani, per il superamento di ogni forma di preconcetto politico, morale o religioso, in modo da contemplare la nuda purità logica della norma giuridica. Per questo, in aula e sui giornali, non ha paura di captare, con la sua enorme intelligenza giuridica tutte le manifestazioni clamorose della vita umana, anche le più scabrose (quali la morte, il dolore e la malattia), e rigettarle sul palcoscenico radioso del ragionar giuridico.
Da timido studente l'ho sempre contestata, mosso da un'intuizione religiosa e ardente fondata sull'esperienza cristiana, che mi suggeriva che la sua affascinante posizione era affetta da un vizio di miopia. La mia era una contestazione timida e silente, di uno studentello da quattro soldi che capiva che qualcosa non andava, ma che non era in grado di capire cosa. Ora, che sono solo poco più che quello studentello spaurito, il suo articolo sulla tematica dell'eutanasia e del testamento biologico, mi conferma nella mia iniziale contestazione. Ma mi dà finalmente l'occasione per argomentare con lei di diritto. Senza preconcetti e senza infiltrazioni religiose (come se questo fosse realmente possibile...).
Caro professore, ragionando di diritto, di stretto diritto, è proprio sicuro che la vita sia un diritto? Lei mi insegna che un diritto è una pretesa tutelata da un ordinamento, attraverso l'inflizione di una sanzione per la sua violazione, e anche di un premio per la sua promozione? Ora, la vita, come viene tutelata nel nostro ordinamento giuridico? Vi è una pretesa dell'uomo a nascere? Vi è un diritto a nascere in capo a chi non esiste? Se lei risponde di sì, allora dovrà ammettere che la soppressione di embrioni è pratica del tutto funesta da rigettare, come del resto cerca di sancire (pur limitatamente la famosa legge 40), ed ancora è del tutto da rigettare la pratica legalizzata dell'aborto, quale sopprime il diritto del feto a nascere e quindi a vivere. Ma se, d'accordo con lei (ed io non sono d'accordo con lei), proviamo a dire che non vi è un diritto a vivere in senso positivo, allora in che modo viene giuridicamente tutelato il diritto alla vita? Non vi è premialità, almeno ci sia sanzione per la violazione. A questo, che è l'aspetto più semplice e superficiale della vita come diritto, l'uomo ha sempre risposto: dal Codice di Hammurabi, ai Dieci Comandamenti alle XII Tavole, fino al Codice Rocco, l'omicidio è sempre stato punito con le pene più gravi. Quindi una tutela penale assoluta. La vita non può essere toccata. Da nessuno. Neanche se chi ha la vita privata era d'accordo. Ora lei, sicuramente metterà in risalto l'illogicità del pensiero cristiano che beatifica i martiri e punisce i suicidi, tralasciando di ricordare che “marthirium”, non è nient'altro che la traduzione del termine “testimonianza”, pertanto il martire non è chi decide di perdere la vita, bensì al contrario chi desidera vivere tutta la vita per la testimonianza. E infatti, i primi cristiani venivano presi nelle catacombe mentre si nascondevano, non venivano accolti nelle caserme a seguito di spontanee e gloriose auto-denunce...
Comunque questo è parlare di religione, torniamo a parlare di diritto. Nel nostro diritto, l'unico complesso di norme, in cui vi è da ravvisare una positiva tutela della vita in quanto diritto è solo il complesso delle norme penali, norme, ricordiamo, di natura pubblicistica, che hanno l'unico scopo di regolare i casi più gravi nei quali, è l'intero ordinamento a reagire nei confronti di una violazione, non essendo possibile l'applicazione di una sanzione da parte di un morto. Ma dal punto di vista, invece del diritto civile, cioè del diritto “tout court” (come mi piace definirlo), ovvero del complesso di norme che organizzano il comune vivere (e forse la vita???), non vi è alcun riferimento ad un sedicente “diritto alla vita”. Se guardiamo bene, caro professore, in nessun codice, e penso (ma su questo ammetto la mia dilettantesca ignoranza!), nemmeno nel grande BGB il Codice Civile della tanto ammirata Cassazione tedesca. Di fronte a questa lacuna, subito, nel nostro ordinamento, come lei ci ricorda, viene in soccorso la Carta Costituzionale e soprattutto quell'ineffabile e fondamentale articolo 2 della Costituzione che ormai viene sempre di più utilizzato quale porta di ingresso di ogni tipo di rivendicazione, facendola assurgere al grado, non solo diritto, ma addirittura di “diritto fondamentale della persona”...
(continua)
La vita è un diritto non una condanna
RispondiEliminadel prof. Ugo Ruffolo Ordinario di Diritto Civile all'Università degli Studi di Bologna
La DECISIONE esemplare della Cassazione tedesca sull'“eutanasia”, ma in realtà sul più limitato diritto di rifiutare le cure mediche quali l'alimentazione forzata, ancorché salvavita, è serio insegnamento per demistificare gli equivoci che viziano il dibattito di casa nostra su testamento biologico e pretesa esclusione della alimentazione o disidratazione artificiale dai trattamenti sanitari costituzionalmente rifiutabili. Ci dice la sentenza: “Tagliare un tubo dell'alimentazione artificiale o staccare un ventilatore rientra nelle forme accettabili di interruzione del trattamento medico, se c'è il consenso del paziente.” (ancorché espresso prima di divenire incapace). Ricordate le polemiche su Welby e poi su Eluana Englaro? Applicando la Costituzione, i nostri giudici consentirono di “staccare la spina” rispettando sia la volontà cosciente espressa dal primo, sia quella presuntivamente ricostruita della seconda. Ma la Cassazione tedesca va oltre: assolve addirittura chi consigliò, poi una figlia che recise quel tubo contro il volere dei medici, ottemperando alla volontà materna, espressa anteriormente, ancorché in via informale e senza i riti del testamento biologico (da tempo legale in Germania).
Quali insegnamenti per noi, titolati dall'inalienabile diritto costituzionale a rifiutare trattamenti sanitari non voluti? Che la vita è un diritto, non un dovere; e che sul suo altare non si possono sacrificare i viventi, imponendola come tortura e attraverso la tortura di una alimentazione forzata artificiale, praticabile solo come trattamento sanitario, dalle cure mediche, e dunque dal diritto di rifiutarle, è stratagemma ipocrita che viola la Costituzione. E nutrendo rispetto sincero verso la millenaria sapienza della Chiesa cattolica, soffro per queste illogiche posizioni. La Cassazione tedesca va oltre: riconosce il valore del rifiuto manifestato “ora per allora”, anteriormente alla perdita di capacità di intendere e di volere, ancorché informalmente. E qui arrivano anche i giudici italiani sul caso Eluana. La morale per noi: 1) smettiamo di mistificare con la legge sul testamento biologico: che dovrà disciplinare la forma del come dichiarare “ora per allora” quali cure rifiutare, e non invece surrettiziamente impedire, sia ora che per allora, di rifiutarne alcune, quali l'alimentazione artificiale; 2) dopo il precedente di Eluana, finché quella legge manca potrebbe bastare comunque formalizzare (nero su bianco e dal notaio) quali cure vogliamo rifiutare anche quando saremo incapaci.