sabato 3 luglio 2010

Caro Professore, se la Vita è un diritto, il Diritto non è solo logica. (2)

Cari amici,
l'ineffabile redattore è riuscito a raccogliere le ultime confuse idee e ci manda da pubblicare il resto della sua letteraccia. Lo pubblico sperando che alcune provocazioni possano, nelle nostre menti banali approfondire un lavoro di conoscenza e di giudizio sul significato profondo della battaglia culturale e vitale che si sta combattendo per l'affermazione del sano diritto a manifestare un principio di Verità, e il diabolico diritto a confondere utilizzando il sentimento e la comunicazione.
Per chi ha avuto modo di seguire alcuni incontri della Festa del Beato Piergiorgio Frassati che si sta svolgendo in questi giorni a Grottammare, ha avuto modo di percepire, sia nella testimonianza del dott. Guzzetti dello scorso 27 giugno, sia nell'incontro con l'avvocato Gianfranco Amato del 1 luglio, i termini della battaglia e quanto sia decisivo stare sempre all'erta di fronte ai subdoli attacchi del Menzognero.
Rimango sempre a disposizione per ogni vostro distratto, astratto o portentoso contributo su tale tematica e buon, noiosa lettura.




Caro professore, se la Vita è un diritto, il Diritto non è solo logica




(segue)
Il diritto a vivere non è comunque, espressamente sancito neanche nella nostra Costituzione, ma viene ricompreso in quei "diritti fondamentali" che la Repubblica riconosce e garantisce. I padri del principio personalista nella Costituente (Mortati, Dossetti, De Gasperi, La Pira) che hanno dato l'impulso più grande nella formulazione di tale articolo, sono stati sempre molto prudenti nell'affermare la vita come "diritto", tanto da non inserirla nel catalogo dei diritti, in quanto consideravano la vita, un qualcosa di meta-giuridico, una premessa indispensabile (non ci può essere diritto se non c'è vita umana!) per l'esistenza stessa di un diritto, ma non un diritto in sé.

Poi, anche considerando la vita tutelata in quanto oggetto di un diritto, tale diritto viente sempre e comunque considerato come diritto assoluto, inderogabile ed indisponibile. Mi scuso per la provvisorietà e la confusione dei miei pensieri, ma voglio subito arrivare al dunque. Lei afferma che "la vita è un diritto e non un dovere": ovvero non vi è alcun obbligo da parte della comunità di far permanere in vita chi non vuole più vivere.

Ora, tale principio astratto è talmente generico che ha, a mio avviso, un grosso difetto, se andiamo ad applicarlo alle "scelte del fine vita" o come lei le chiama le scelte "dell'ora per l'allora". Tale principio, e questo è l'errore compiuto dalla Cassazione Italiana sul caso Englaro e la profonda ingiustizia della decisione della Cassazione Tedesca, fa fuori una categoria che è necessario tenere sempre in considerazione se si vuole tutelare massimamente i diritti del singolo: la categoria del "ripensamento", ovvero di quel sacrosanto diritto di ciascuno a cambiare opinione su di sé o sulla realtà. Quel diritto (ed ora voglio proprio parlare giuridicamente!) che ha chi fa testamento, di mutare tale testamento fino ad un attimo prima di morire; il diritto che ha e deve avere ognuno di recedere da un contratto o da una proposta o promessa contrattuale precedentemente fatta, il diritto di revocare una donazione effettuata, di recedere da una società o da una associazione, persino il diritto di recedere dall'accordo matrimoniale o ancora (ed è un caso limite) il diritto di rinunciare anche alla propria paternità o maternità (legale si intende!). Come vede sono tantissimi gli ambiti nei quali tale "diritto a mutar opinione" viene pacificamente riconosciuto e applicato, in quanto tale diritto rappresenta nient'altro che quella espressione più compiuta della personalità umana che viene realmente tutelata dall'articolo 2 della Costituzione.
E' strano quell'ordinamento che arriva a tutelare il diritto di una persona a cambiare il proprio sesso, e non tutela il diritto dello stesso soggetto a mutare la propria opinione su i trattamenti sanitari che possono essergli somministrati in caso di malattia che provochi l'incoscienza.

Ed è strano quell'ordinamento per cui un testamento che si occupa di beni materiali ed economici può essere sempre riformato e rivisto, mentre un testamento che si occupi dei beni personalissimi quali la salute e la qualità della vita, non possa essere modificato ed anzi, in assenza di tale testamento si faccia esclusivamente riferimento ad una volontà presunta "da stile di vita".

Ed è ancora più strano quell'ordinamento che addirittura arriva a riconoscere una volontà ferma ed irrevocabilie, basandosi proprio sullo "stile di vita", considerando che lo stile e la visione di vita, sono categorie che, sopratutto nel nostro tempo, sono continuamente soggetto a mutazioni e cambiamenti.

Le sentenze delle Cassazioni Italiana e Tedesca e la deriva eutanasica che comportano, vanno criticate proprio per tale illogicità culturale, ma anche e sopratutto giuridica. E non tanto la prudente e saggia Chiesa Cattolica che in virtù di un semplice principio assoluto ("la vita è dono di Dio e per questo è indisponibile e deve essere tutelata e protetta senza se e senza ma, anche perché nessuno conosce la Volontà e la Potenza di Dio che trae il Bene da ogni male"), semplicemente neanche si pone il problema eutanasico, perché non esiste una morte che sia dolce, se non tutte le morti in quanto aprono alle porte dell'etetno.

Qui vi è una illogicità giuridica e anche una certa discriminazione. Infatti applicando i concetti giruidici prospettati dal suo intervento, caro Professore, ci si troverebbe di fronte a un contesto in cui il diritto al rifiuto delle cure che uno può anche esercitare non coscientemente, ma solo perché (come chi scrive) è soggetto pregudizialmente allergico a qualsiasi intevento medico e non si fida dei medici, non possa mai essere revocato perché una volta giunto in stato di apparente incoscienza, lo stesso soggetto si troverebbe impossibilitato a manifestare il suo pensiero che "si, va bene i medici sono tutti una brutta razza, ma io alla mia vita ci tengo, per questo per favore non staccate la spina!". Perché questa è la conseguenza, illiberale, paradossale e, questa sì giuridicamente illogica, che comporterebbe il consolidamento delle decisioni della Corte di Cassazione nel nostro ordinamento.
Una persona incosciente (apparentemente) è un persona viva e per questo titolare di tutti i diritti della personalità sanciti del nostro ordinamento, tra cui anche il diritto di cambiare opinione su una delle posizioni prese in precedenza. Far basare la scelta della sospensione delle cure soltanto su una dichiarazione resa anche anni addietro e in mutati contesti anche scientifici o, che è peggio, su una ricostruzione della volontà fatta da soggetto diverso da chi quella volontà l'ha espressa e nemmeno presente nel momento in cui tale volontà venne espressa, rappresenta una violazione palese e ingiustificata del diritto che ognuno ha di cambiare opinione su di sé e sulla propria vita, violazione ancora più odiosa perché fatti nei confronti di chi, allo stato attuale, non è in grado di esprimere in maniera riconoscibile la propria attuale ed effettiva volontà.
Pertanto a mio avviso risulta auspicabile una legge, che partendo dal riconoscimento del non senso giuridico che crea un testamento biologico per i momenti di incoscienza, stabilisca dei limiti quali il divieto di sospensione di alimentazione, idratazione e respirazione, per i quali, nella tutela del reale diritto di ciascuno di rifiutare le prestazioni mediche, ciascuno possa effettuare le proprie scelte, lasciando lo spazio a quella suprema categoria della ragione ed anche della ragione logica, sulla quale il diritto a suo avviso si fonderebbe, che è la "categoria della possibilità".
Un ultima precisazione su una profonda differenza tra l'operato della Cassazione Tedesca rispetto alla nostra Cassazione, che, visto che dobbiamo essere rigorosi e giuridicamente scientifici, non possiamo tralasciare. La Cassazione tedesca è giunta a una conclusione simile a quella Italiana partendo dalla propria legislazione in vigore sul testamento biologico. Pertanto la sua interpretazione estensiva della normativa in essere, risulta del tutto logica e coerente con una evoluzione di una disciplina in vigore. La nostra Cassazione, al contrario, è arrivata a dare valore alla volontà presunta di interruzione dell'alimentazione e dell'idratazione in assenza assoluta di alcun riferimento normativo, se non la criticabilissima e politicamente orientata intepretazione degli artt. 2 e 32 della Costituzione.

Faccio notare questo aspetto, perché esso mette in luce un ultimo punto critico che mi permetto di criticare, rappresentando, a mio avviso, il punto più debole della sua intera ricostruzione del sistema giuridico. Sia nel caso tedesco, che più surrettiziamente in quello italiano, alla base dell'interpretazione giuridica vi è sempre e comunque una opzione politico-culturale, sancita da una legge nel caso tedesco, argomentata in una motivazione, nel caso italiano.

Caro professore, la norma giuridica non è mai solo logica, ma da quando esiste l'uomo è sempre anche politica ed etica. In ogni norma è infatti espressa una scelta di valore o di disvalore, scelta che ciascuno compie sulla base delle proprie convinzioni ed esperienze e che, negli ordinamenti giuridici contemporanei si riflettono nella volontà e nella scelta politico-legislativa di un popolo. Pertanto, scegliere di proteggere chi non può far valere la sua voce, potrebbe essere culturalmente criticabile e non condivisibile, ma se proviene dai meccanismi regolari di formazione della volontà popolare, non può di per sé essre tacciata di illogicità giuridica, in quanto scelta fondamentale alla quale poi, ogni interprete deve sottostare.
Con affetto e gratitudine

avv. Andrea Collina

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